29 maggio 2006

Il potere

Tiziano: Adesso sono curioso. No, non sono curioso, sono sereno,
Folco. Sono sereno. Non mi aspetto assolutamente più niente.

Folco: Allora puoi finalmente riposarti.

Tiziano: La puoi mettere così, se vuoi.

Folco: Non devi più correre.

Tiziano: Questo è vero, perché un po' ho sempre
sentito che avevo delle responsabilità. Quel senso del dovere, poi, che
avevo sempre addosso, quel senso che, insomma, era giusto fare certe cose o non farle. Trovavo bello quello che ha detto Martin (Woollacott, del "Guardian" ndr) l'altro giorno, che io avevo un senso della moralità. Ma non ero io... era che non c'era niente di più importante nella mia vita, non c'era niente di più grande, sai... sono uno che non ha mai fatto compromessi. Non ne ho avuto forse un grande bisogno, ma avevo una ripulsione per i compromessi e
se questa la vuoi chiamare moralità, sì. Ho fatto questo mio mestiere proprio come una missione religiosa, se vuoi, non cedendo a trappole facili. La più facile, te ne volevo parlare da tempo, è il potere. Facendo
questo mestiere la frequentazione del potere è necessaria, indispensabile.
Di ogni tipo di potere: il potere assassino, il potere giusto, il potere... il Potere. Perché è quello che determina le sorti del mondo e tu che sei lì a descriverle devi andare dal potere a chiedergli come stanno le cose. Ecco, di nuovo senza che io me lo sia detto una mattina facendo un voto, senza che io ci sia arrivato attraverso constatazioni altrui, io ho sempre provato una riplusione per il potere. Forse, nel fondo sono un anarchico, ma a me vedere un presidente, un ministro, un generale, tutti con la loro aria tronfia, tutti con la loro pillola da rivenderti, mi ha sempre fatto ribrezzo. Il mio istinto
è sempre stato di starne lontano. Proprio starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all'idea di essere vicini al Potere, di dare del "tu" al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari. Io questo non lo ho mai fatto. Lo puoi chiamare anche una forma di moralità.

(La sua voce si abbassa)

Perché il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! Capisci? Se ti metti accanto a un candidato alla presidenza in una campagna elettorale, se vai a cena con lui e parli con lui diventi un suo scagnozzo, o no? Un suo operatore. Non mi è mai piaciuto. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere gli stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo. Aprivo la porta, ci mettevo il piede, entravo dentro, ma quando ero nella sua stanza, invece di compiacerlo controllavo che cosa non andava, facevo le domande.
Sono stato uno dei giornalisti che alle conferenze stampa del mondo era proverbiale per fare sempre le domande più provocatorie, quelle che non vedi più
fare oggi. Quelle che non vedi rivolgere alla Condoleezza Rice che l'altra sera diceva "Le Nazioni Unite ora ci stanno bene a mano". Bastava che uno si riprendesse i giornali di due anni fa "Un momento! Lei il 14 maggio, alle cinque e quaranta alla CBS ha detto <<Le Nazioni Unite sono irrilevanti, sono piene di assassini e sono piene di dittatori>>. E ora le Nazioni Unite sono il toccasana? Ma ci piglia per il culo?!"

(Rido)

Questo è il giornalismo. I giornalisti più orribili sono quelli che stanno nel Pentagono, nel ministero degli Esteri, sempre lì, pronti a pigliare il caffè. Si annuncia "Conferenza stampa!" e loro accorrono. Arriva Bush o Rumsfeld che dicono "Allora John, tu che vuoi sapere?"

Ma che John?!...

1 commento:

Anonimo ha detto...

... dimmi chi avevi in mente... ah, ma forse lo so già! ;-)